Paolo Berdini, urbanista e scrittore da sempre impegnato per la tutela dei territori dalla speculazione edilizia, analizza a nome del Forum Salviamo il Paesaggio Roma e Lazio il testo della proposta di legge di riforma urbanistica 105/2013, allo studio da parte della Giunta regionale del Lazio.
“Nell’articolo 2,” denuncia Berdini, “si legge:la garanzia della proprietà privata e della sua funzione sociale. La regione Lazio pone la questione della garanzia della proprietà privata all’interno dei principi fondamentali, un salto culturale di proporzioni inaudite di cui non è facile riscontrare le motivazioni”.
La proposta regionale di riforma della legge urbanistica regionale presenta due aspetti distinti. Da una parte ci sono stesure convincenti e rigorose che sembrano riportare l’urbanistica della regione fuori della ormai ventennale cultura della deroga. Mi riferisco in particolare al capo II sulla limitazione del consumo di suolo; all’insieme degli articoli sul piano regolatore strutturale; al titolo IV sulla disciplina sulle aree aperte.
Queste parti rischiano di diventare pure esercitazioni retoriche poiché è sempre la cultura della deroga a dominare la scena. Il capitolo sugli strumenti di gestione del piano applica all’intera regione Lazio il fallimentare modello dell’urbanistica romana fondato su concetti privi di legittimità giuridica come i diritti edificatori; il capitolo sugli strumenti di attuazione del piano generale prevede una serie interminabile di deroghe automatiche basate sul labile concetto di “interesse pubblico”, che come noto era stato invocato addirittura per permettere la speculazione connessa con il nuovo stadio della Roma; il capo III sulla rigenerazione urbana, infine, rende stabile la normativa derogatoria dei “piani casa”. Si prevedono infatti aumenti volumetrici automatici anche per singoli edifici.
C’è infine una questione talmente grave che speriamo soltanto che venga rapidamente cancellata. Nei principi fondamentali della legge, al punto i dell’articolo 2 si parla testualmente della “garanzia della proprietà privata”. Molte regioni hanno tentato di aggirare le normative nazionali in materia urbanistica o paesaggistica. Mai nessuna, a mia memoria, aveva tentato di riscrivere la Costituzione.
1. Principi fondamentali
La questione più grave dal punto di vista generale, come si accennava, è contenuta nell’articolo 2 (Principi fondamentali) dove (punto i) si legge:“la garanzia della proprietà privata e della sua funzione sociale”.
Come è noto la Costituzione italiana si occupa della questione della funzione e della tutela della proprietà privata in particolare nell’articolo 42. La prima parte della Costituzione (Principi fondamentali) si ferma invece all’articolo 12. I due citati articoli furono dunque ragionevolmente collocati nella Prima parte (Diritti e doveri) e in particolare nel titolo terzo, Rapporti economici.
La regione Lazio compie il grande balzo e pone la questione della garanzia della proprietà privata all’interno dei principi fondamentali, un salto culturale di proporzioni inaudite di cui non è facile riscontrare le motivazioni. Non sembra infatti che la proprietà privata sia stata sottoposta in questi anni a particolari arbitri e vessazioni tali da spingere il legislatore a collocare la questione nei principi fondamentali.
Anzi, ad essere sinceri nel periodo della presidenza Zingaretti si è continuato ad assistere all’aggressione alle proprietà pubbliche attraverso la svendita del patrimonio e alle esternalizzazioni di importanti pubbliche che sono alla base del welfare. E’ noto che il capo di gabinetto della Regione Lazio, Maurizio Venafro, si è dovuto dimettere proprio su uno dei tanti casi di esternalizzazione dei servizi di tutela della salute, quello del servizio di prenotazione unica affidato, narrano i capi di imputazione, in maniera discrezionale.
La regione che dunque ha oggettivamente favorito l’attività privata a scapito delle funzioni pubbliche sente l’esigenza di inserire la garanzia della proprietà privata all’interno dei principi fondamentali. E anche il modo con cui è scritto il testo lascia molto a desiderare. La Costituzioneafferma: “La proprietà privata è garantita dalla legge, che ne determina i modi di acquisto, di godimento e i limiti allo scopo di assicurarne la funzione sociale e renderla accessibile a tutti (comma 2)”. Una formulazione di straordinaria importanza su cui sono stati scritti una grande quantità di commenti: il recente volume di Paolo Maddalena, Il territorio bene comune degli italiani (Donzelli, 2013) è in tal senso di fondamentale importanza e ad esso rimando per coloro che volessero approfondire le implicazioni del testo costituzionale.
La regione Lazio scrive invece “garanzia della proprietà privata e della sua funzione sociale”, un testo molto meno ampio e articolato quando avrebbe potuto eventualmente richiamare la formulazione nazionale che pure viene formalmente richiamata subito dopo. Non ce ne sarebbe stato bisogno perché fortunatamente le Regioni non possono approvare leggi in contrasto con il testo fondamentale, ma resta il fatto gravissimo che la garanzia della proprietà privata sia divenuta nel Lazio un principio generale.
In realtà, l’ipotesi più attendibile è che non si sia trattato di un abbaglio: il cuore della legge pullula infatti di “diritti edificatori” e la tutela della proprietà come principio fondamentale serve sicuramente a tutelare i portafogli di un ristretto numero di proprietari fondiari romani che con l’invenzione dei diritti edificatori hanno fatto fortuna.
2. I diritti edificatori e la variante urbanistica automatica
La proposta di legge, infatti, è palesemente squilibrata. A fronte di una parte dedicata alla pianificazione strutturale comunale coerente e sintetica, si dedicano molti articoli e troppi commi all’armamentario che ha aperto le porte al sacco urbanistico di Roma, e cioè la “perequazione” (art. 48); la “compensazione” (art. 49); la premialità (art. 50). Nell’intera sezione 3 (Strumenti di gestione del piano), il concetto di diritto edificatorio è richiamato di continuo. E’ una sezione fortemente ideologica, nel senso che pur in presenza di un tragico fallimento dell’urbanistica contrattata romana che tutti i cittadini constatano ogni giorno in termini di aggravamento delle proprie condizioni di vita, il legislatore tenta di imporre questa strada fallimentare a tutti i comuni del Lazio.
Del resto, che la legge istituisca diritti edificatori è evidente nel comma 3 dell’articolo 34 dove si afferma che il piano operativo attribuisce a tutte le zone edificabili –compresi i centri storici-: “….anche per ogni rinnovo successivo alla scadenza e per ogni unità territoriale e ambito strategico, l’indice edificatorio di unità e per le unità di cui al successivo comma 8, lettera b) l’indice edificatorio di base comunque non superiore a 0,06 mq/mq”. Un indice “base” per tutti, un “diritto edificatorio” che potrà essere aumentato a piacimento dai Prg e, soprattutto, soggetto alla usuale deroga premiale che prevede aumenti fino a dieci volte!
Sarebbe molto più serio che la regione Lazio che ha come noto poteri di vigilanza in materia urbanistica istituisse una apposita commissione di inchiesta per tentare un bilancio delle esperienze condotte a Roma e verificare le inottemperanze rispetto alle promesse mirabolanti con cui erano state proposte e celermente approvate. Mi riferisco alla vicenda delle Terrazze del Presidente ad Acilia che avrebbe dovuto realizzare il sottopasso della via di Acilia sulla via Cristoforo Colombo; alla vicenda di Due Ponti sulla Flaminia dove si doveva realizzare un sovrappasso pedonale a servizio degli sventurati cittadini che hanno acquistato un’abitazione che affaccia su un’autostrada urbana; alla vicenda di piazza dei Navigatori dove doveva essere realizzato un nuovo sistema stradale; alla vicenda della “compensazione” di Tor Marancia dove il parco è una chimera e i proprietari hanno inondato Roma di costruzioni in “compensazione”. O ancora le vicende del parco di Case Rosse a due chilometri dalle abitazioni o la vicenda del parco delle Sabine a Bufalotta.
Tutte varianti ottenute con accordo di programma con il concorso della regione Lazio: il minimo che si può chiedere è che il meccanismo perequazione-compensazione- premialità, venga sottoposto ad una rigorosa indagine conoscitiva. La sezione 3, infatti, è costruita sulla stessa logica che ha provocato danni incalcolabili sullavita di migliaia di famiglie: agli articoli 52 e 53 si prevedono infatti accordi di pianificazione che possono variare a piacimento i piani strutturali vigenti: basta che ci siano “sopravvenute esigenze di interesse pubblico” (comma 1, art. 53) come nello scandalosa vicenda dello stadio della Roma a Tor di Valle. E al peggio non c’è fine perché al comma 5 dello stesso articolo si prevede che questi interessi pubblici possano consentire la trasformazione di aree a verde e servizi pubblici o agricole. Insomma, fate pure il piano strutturale basato –come afferma condivisibilmente la legge- sulla tutela dei compendi agricoli, tanto poi con i piani attuativi lo variamo a piacimento.
3. La diga bucata contro il consumo di suolo
Non c’è soltanto il punto appena richiamato a mettere in crisi tutta la costruzione –molto bel calibrata e condivisibile- della difesa del consumo di suolo. Al terzo comma dell’articolo 9 si dice infatti che non si può edificare in zona agricola fatta eccezione per gli interventi pubblici o di interesse pubblico: forse è in arrivo lo stadio della Lazio.
Ancora più grave la formulazione contenuta nel comma 3 dell’articolo 9 che recita: “Dall’entrata in vigore della presente legge non sono consentite le varianti dello strumento urbanistico comunale vigente che riguardino l’estensione della superficie urbanizzabile e la riduzione della superficie agricola, naturale e seminaturale fatte salve quelle relative agli interventi pubblici e/o di interesse pubblico”. Qui si fanno salve le previsioni edificatorie contenute nei piani vigenti e si continua a lasciare aperta la porta alle deroghe per i labili interessi pubblici.
4. Il piano casa in legge urbanistica
Dobbiamo aggiungere due altre notazioni critiche. La prima riguarda l’istituzionalizzazione del piano casa. All’articoli 11 e 12 vengono infatti previsti incrementi volumetrici automatici anche per singoli edifici compresi tra il 20 e il 30 % delle volumetrie esistenti. E’ noto che in questo modo si aggrediscono le periferie a bassa densità (zone a villini) che potranno essere trasformati a piacimento della proprietà immobiliare. Il piano casa diventa per la prima volta in Italia elemento costitutivo di una legge urbanistica e le nostre periferie diventeranno sempre più brutte.
5. Una regione inadempiente inventa nuove azioni di pianificazione
Anche il capo IV “Tutela e disciplina dell’uso agro forestale del suolo”, pur in presenza di formulazioni condivisibili, non sfugge al generale giudizio di incertezza. Mi riferisco all’istituzione dello strumento del Piano regionale agricolo (art. 66) che appare come una inutile esercitazione retorica che rischia di generare ritardi applicativi. E’ infatti ben noto che la regione Lazio è colpevolmente inadempiente nell’approvazione di Piani territoriali paesaggistici e dei piani di assetto dei parchi istituiti. Invece di concludere questa complessa opera di pianificazione si inventano nuovi strumenti: insomma, pur essendo inadempiente la regione non prende impegni per il futuro ma acquisisce nuovi poteri di cui non si sentiva affatto la necessità.
Meglio sarebbe stato un documento in allegato che indicasse le date improrogabili di approvazione dei piani ancora imperfetti.
6. La questione degli standard urbanistici
Sulla questione degli standard urbanistici ci si aspettava infine un maggior coraggio: la situazione pregressa nella gran parte della città più popolate presenta come noto gravi deficit di aree pubbliche. La legge si limita invece a mantenere pressoché invariata la dotazione minima prevista dal DM. 1444/68, perché se è vero che l’articolo 41 parla di 22 metri quadrati per ciascun abitante, fa esplicito riferimento ad una dotazione di superficie di corrispondenza per abitante pari a 120 metri cubi. Dunque l’apparente aumento di 4 mq dello standard viene immediatamente decurtato dall’aumento del 20% della cubatura di corrispondenza (da 100 mc del decreto ai previsti 120). Ne deriva un aumento modestissimo che mal si concilia con i fabbisogni arretrati di aree pubbliche anche per la ben nota estensione del fenomeno abusivo.
Ma a parte questa nota marginale, sussistono due gravi questioni. La prima è contenuta nell’articolo 44 dove si prevede la monetizzazione degli standard. La seconda, se possibile ancora più grave, contenuta nell’articolo 45 laddove si prevede la concessione amministrativa al privato al fine di consentirgli la gestione del servizio. Porre la questione nella legge urbanistica espone evidentemente ad un processo di sostanziale privatizzazione dei servizi pubblici che potrebbe avere conseguenze drammatiche sulla vita dei cittadini.
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