Pubblichiamo un articolo di Vittorio Emiliani, giornalista, scrittore, saggista e intellettuale italiano da sempre difensore dei tesori culturali del Belpaese, sulla “decima riforma del MibacT dal 1974”, ribattezzata con il nome dell’attuale Ministro dei Beni e delle attività culturali e del turismo Dario Franceschini.
Un atto potenzialmente devastante per le ripercussioni negative sul sistema di tutele pubbliche e salvaguardia del patrimonio artistico nazionale.

“Per Renzi”, denuncia Emiliani, “La modernizzazione, vuol dire lasciar correre senza penetranti controlli tecnico-scientifici, paesaggistici, ambientali, le grandi opere, l’edilizia speculativa, i centri commerciali e quanto devasta un paesaggio già fortemente intaccato, con tutto il cemento e l’asfalto che esse comportano e che già ci regala il record europeo di consumo di suolo: 70 ettari al giorno. Il doppio e oltre del consumo medio europeo”.

 

La decima riforma del MiBACT, da quando nacque per decreto nel 1974, e la fase 2 della “riforma” Franceschini, la decima appunto, suona come il Requiem al Ministero voluto da Giovanni Spadolini. Di Renzi si conosce da anni la totale avversione per le Soprintendenze e da lì viene certamente questo Requiem. Il funerale però lo sta organizzando il suo ministro stando a cassetta come becchino o vespillone.

Ha un bel dire Franceschini che l’accorpamento delle varie Soprintendenze in una sola faciliterà la tutela e la renderà più presente e coordinata sul territorio. In realtà basta guardare cosa va a succedere a Roma per convincersi dell’esatto contrario. Qui la Soprintendenza archeologica speciale aveva mostrato di funzionare anche se le risorse pompate dal Colosseo (appena 27 custodi, in realtà 21, per una marea di turisti al giorno) non venivano granché ripartite sul territorio. Ma Roma e Ostia formavano un formidabile complesso di insediamenti antichi sui quali potevano operarsi interventi strategici. Ora, si scindono altri Musei dal territorio (e questa per l’archeologia è una misura mortale), ma si approfondisce sempre più il solco devastante fra valorizzazione (esaltata) e tutela (depressa).

Un Ministero bipolare: con la parte, dominante, della Valorizzazione che lo trasforma in una grande Agenzia di Viaggi e Turismo in base al criterio che “i Musei devono finanziarsi da soli” con gli ingressi, il merchandising, ristoranti, buffet, matrimoni, eventi, eventi, eventi (commerciali, s’intende). Mentre la tutela verrà esercitata da Soprintendenze uniche (archeologia, belle arti, paesaggio, tutte insieme), ancor più facili così da sottomettere – come prevede il grottesco disegno di legge Madia – ai Prefetti, tutori dell’ordine pubblico. In sostanza una soluzione sabauda ante 1861, con le Sovrintendenze declassate, anche nell’immaginario collettivo, a Sottoprefetture. Preceduta da una confusione funzionale disperante di uffici e archivi che- come nota polemicamente Assotecnici – renderanno più difficile e complicata la tutela.

Sull’Appia Antica – dove coesistono la Soprintendenza archeologica di Stato e il Parco regionale a dominanza “naturalistica” – si crea un Parco Archeologico Nazionale nel quale esercitare essenzialmente la valorizzazione, magari con biglietto d’ingresso. Il MiBACT viene così incontro ai progetti della Società Autostrade sulla Regina Viarum? Probabilmente sì.
Il Parco Archeologico nasce sotto il segno della valorizzazione,
del mettere a reddito quello straordinario comprensorio (per la verità pubblico soltanto per il 5 % o poco più). Dalle funzioni del Parco Nazionale esula infatti la tutela in senso proprio. Quella stessa che, fra mille difficoltà, ha consentito per esempio di recuperare in modo esemplare Capo di Bove e la gigantesca Villa dei Quintili e di acquisire e restaurare il complesso di Santa Maria Nova, combattendo un abusivismo insidioso. Tutto inutile visto che “non frutta soldi”.

A Taranto, indiscussa capitale della Magna Grecia con un Museo acheologico strepitoso, sarà “valorizzato” (si vedrà) il Museo ma viene sottratta una Soprintendenza Archeologia di grande merito e prestigio, esistente da oltre un secolo, per accorpare tutto a Lecce e crearne un’altra a Brindisi. Ma con quale razionalità? Con quali criteri? Se uno obietta che la geografia delle Soprintendenze divise per competenze scientifiche era stata studiata e sperimentata da grandi esperti come Corrado Ricci, Adolfo Venturi e altri, si risponde con un sorrisino ironico che difatti “sono strutture ottocentesche che incatenano la modernizzazione” opera di “professoroni”…E di chi dovrebbero essere opera, forse di manager della Banca Etruria?

Del resto era tutto scritto. La responsabile della Cultura della Confindustria Maria Grazia Asproni aveva proposto pochi anni or sono in un pubblico convegno di sbaraccare il Ministero per i Beni Culturali e di passare tutto al Ministero dell’Economia e dello Sviluppo. Ci siamo quasi. Era già tutto scritto nel manifesto della turbo-cultura renziana, nel libretto ideologico intitolato con grande umiltà da Renzi “Stil Novo” in cui scrive che la parola “sovrintendente è una delle le più brutte di tutto il vocabolario della burocrazia. È una di quelle parole che suonano grigie. Stritola entusiasmo e fantasia fin dalla terza sillaba. Sovrintendente de che?”. Sono “strutture ottocentesche” che mettono “le catene alla modernizzazione”.

A cominciare da quelle archeologiche. Mettetele in un ufficio a far meno danni, a occuparsi delle loro polverose scartoffie. Come bibliotecari e archivisti: di questi ultimi ve ne sono pochissimi ormai, ma per loro in una grande Soprintendenza si prevede la divisione in tre “aree funzionali”. “Ma se siamo soltanto in sette…”, ha obiettato il soprintendente. Fra poco, essendo tutti vicini e magari oltre i sessant’anni, non ci sarà più nessuno e Renzi si sarà tolto definitivamente il fastidio.

La modernizzazione, ai suoi occhi (e altro) vuol dire evidentemente lasciar correre senza penetranti controlli tecnico-scientifici, paesaggistici, ambientali, le grandi opere, l’edilizia speculativa, i centri commerciali e quanto devasta un paesaggio già fortemente intaccato, con tutto il cemento e l’asfalto che esse comportano e che già ci regala il record europeo di consumo di suolo: 70 ettari al giorno. Il doppio e oltre del consumo medio europeo.

Di tutto ciò compare qualcosa di veramente approfondito sulla grande stampa nazionale, nelle televisioni, nel servizio pubblico Rai? Pochissimo e per giunta distorto. La Rai ha soppresso tanti spazi dedicati a beni culturali e ambientali. Da ultimo ha rattrappito “Ambiente Italia” a mezz’ora, a metà mattina, senza più dirette… Era un ultimo baluardo contro la disinformazione. Su grandi quotidiani il piano Società Autostrade per l’Appia Antica viene applaudito in partenza. Ci si lagna che i Bronzi di Riace restino a Reggio Calabria dove a vederli ci va poca gente. Si getta la croce sulla inamovibilità dei custodi dei musei siciliani ignorando che la Sicilia “gode” di una specialissima autonomia dallo Stato.

Questi sarebbero i grandi problemi. Mentre nei salotti o nelle arene televisive ci si duole per il fatto che “in questo Paese ormai nessuno si oppone più”…Detto da chi in quei salotti e in quelle arene ci sta quasi ogni giorno e poco o nulla denuncia di questa autentica catastrofe che sta travolgendo la tutela del nostro patrimonio storico-artistico-paesaggistico. Compresi i Parchi Nazionali e Regionali abbandonati a se stessi e minacciati da leggi sempre più permissive o da finanziamenti tagliati a metà (vedi la Regione Marche un tempo in testa all’ambientalismo) che assicurano il dissesto del bilanci e la fine della tutela.

E noialtri che pure riusciamo a far sottoscrivere i nostri appelli al Presidente della Repubblica da centinaia di intellettuali coraggiosi e appassionati, da migliaia di cittadini? Non ci opponiamo forse? Anche ai parlamentari che hanno a cuore il Belpaese diciamo: non ci servono più le singole interrogazioni, ci serve una presa di posizione collettiva, di un numero significativo di voi, che prenda a cuore questa battaglia. Lo diciamo anche ai dipendenti dei Beni Culturali, di quelle imprese culturali vitali per il Paese. unitevi nella protesta oggi perché domani queste leggi avranno irreparabilmente distrutto il comune lavoro di decenni, di secoli.