
Un momento della presentazione del libro “Paesaggi dell’Archeologia invisibile”, presso il Museo delle Terme di Diocleziano.
Riflettere sul ruolo dell’archeologia in contesti urbanizzati e al suo profondo legame con il paesaggio e la valorizzazione, senza dimenticare la tutela, delle ricchezze culturali. Il libro di Lucina Caravaggi e Cinzia Morelli dal titolo “Paesaggi dell’archeologia invisibile, Il caso del distretto Portuense”, presentato lo scorso 30 gennaio a Roma presso le Terme di Diocleziano, racchiude in sé tutte le sfaccettature di questi argomenti.
“L’archeologia invisibile è fatta di siti indagati e completamente re-interrati”, si legge nel comunicato stampa dell’iniziativa, “spesso in mezzo ai grandi contenitori o alle infrastrutture del territorio contemporaneo. I paesaggi dell’archeologia invisibile nascono da campagne di scavo a carattere estensivo, soprattutto a seguito di rilevanti trasformazioni territoriali, e dalla mancanza di modelli di tutela adeguati alla natura dei ritrovamenti”.
Il libro tratta del distretto Portuense, ed in particolare dell’area della Nuova Fiera di Roma, che ha dato occasione per gettare uno sguardo, appunto, sul possibile ruolo dell’archeologia nei territori dell’urbanizzazione diffusa, rinnovando il rapporto tra ricerca, tutela e valorizzazione.
“Non è facile comunicare il possibile senso culturale di ritrovamenti che spesso non hanno un carattere monumentale”, prosegue la nota, “e che generalmente sono difficili da comprendere rispetto al loro funzionamento antico.
Attraverso un rinnovato e paziente dialogo tra archeologia, architettura e paesaggio, il progetto di valorizzazione tende alla narrazione storica, muovendo da sequenze evolutive ritenute particolarmente significative, capaci cioè di rendere comprensibile un territorio difficile, grazie all’evidenziazione di siti archeologici differenti, scavati e re-interrati”.
Un lavoro complesso, quindi, quello firmato da Lucina Caravaggi, docente di Architettura del Paesaggio del DiAP – Sapienza Università di Roma , e Cinzia Morelli, direttrice dell’area archeologica di Ostia – Soprintendenza Speciale per il Colosseo, il Museo Nazionale Romano e l’Area Archeologica di Roma. Un testo frutto anche di lunghe riflessioni maturate nel tempo confrontando diversi mondi e discipline, dall’archeologia all’architettura, dalla progettazione al paesaggio, fino all’urbanistica e all’ecologia.
“Le aree archeologiche sono immaginate come veri e propri condensatori paesistici“, conclude il comunicato stampa. “L’interpretazione progettuale degli eterogenei spazi aperti connessi alla via Portuense delinea un paesaggio archeologico contemporaneo, capace di favorire la convivenza e il dialogo tra sistemi tra loro conflittuali.
La valorizzazione di siti archeologici di grande interesse, come quelli dell’Ager Portuensis, diventa cioè il filo conduttore per il miglioramento delle prestazioni funzionali di infrastrutture, ambienti e insediamenti attuali”.
Marco Bombagi
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